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Massimo Reichlin Dibattito sul fine vita

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bioetica

Riprende il dibattito sul fine vita

Suicidio assistito ed eutanasia all’ordine del giorno

Massimo Reichlin

Docente di Filosofia morale, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano 

Alberto Giannini

Direttore dell’Unità operativa di Anestesia e rianimazione pediatrica, Ospedale dei

Bambini, Spedali Civili, Brescia

 

Mario Picozzi

Docente di Medicina legale, Università degli studi dell’Insubria, Varese

 

accanimento terapeutico ● bioetica ● diritti del malato ● etica medica ● eutanasia ● legislazione sanitaria ● malato terminale ● medicina ● obiezione di coscienza ● referendum ● salute ● suicidio

Il giudizio della Corte costituzionale sull’ammissibilità del referendum sull’omicidio del consenziente, quindi sull’eutanasia, e la ripresa della discussione parlamentare sul suicidio assistito rimettono le questioni del fine vita al centro dell’agenda politica e del dibattito pubblico. Non è azzardato prevedere un confronto estremamente acceso e polarizzato, con il conseguente rischio di confusione dell’opinione pubblica. Qual è il profilo delle proposte sul tappeto? Come valutarle da un punto di vista etico, ma all’interno del contesto politico, sociale e culturale in cui ci troviamo? In che direzione orientare l’impegno per il bene concretamente possibile?

L

e questioni bioetiche e giuridiche connesse alla fine della vita umana stanno agitando nuovamente il nostro Paese. Nel mese di febbraio la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità del referendum abrogativo di parte dell’art. 579 c.p. sull’omicidio del consenziente, che, in caso di vittoria, introdurrebbe l’eutanasia nel nostro ordinamento. A sostegno della proposta referendaria nel 2021 sono state raccolte, per la prima volta in parte anche online, le firme di oltre 1,2 milioni di cittadini.

Aggiornamenti Sociali febbraio 2022 (96-104)

Sempre nel mese di febbraio è prevista alla Camera la ripresa del dibattito sulla proposta di legge Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita, giunta in aula il 13 dicembre 2021 dopo essere stata approvata dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali [1]. Essa intende dare attuazione all’auspicio formulato dalla Corte costituzionale nella Sentenza n. 242/2019: nel dichiarare parzialmente illegittimo l’art. 580 c.p. sull’istigazione o aiuto al suicidio, la Corte aveva chiesto con forza un intervento legislativo sulla materia, sulla base dei principi da essa enunciati.

Per seguire questa complessa discussione politica e legislativa e farsi un’idea non superficiale in merito, è necessario identificare le diverse questioni implicate e avere chiare alcune distinzioni. La prima, per certi versi preliminare, riguarda la Legge 22 dicembre 2017, n. 219, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento [2], spesso evocata nel dibattito, ma non sempre a proposito. È vero che la Corte costituzionale fa riferimento agli artt. 1-2 di quella legge, ma solo allo scopo di delimitare, per analogia e in mancanza di altro riferimento normativo più specifico, l’ambito operativo della Sentenza n. 242/2019 e le procedure per darvi attuazione. Tuttavia, l’intento della L. n. 219/2017 non era modificare le norme penali su eutanasia e suicidio assistito, ma contrastare l’accanimento terapeutico, disciplinando le modalità con cui è possibile rifiutare o sospendere trattamenti sanitari, anche di sostegno delle funzioni vitali, inclusi quelli minimi come la nutrizione e l’idratazione artificiali, quando risultino sproporzionati, non avendo possibilità di ottenere altro risultato che il prolungamento di condizioni penose per il paziente e per i suoi familiari. Inoltre la legge introduce la facoltà, per i maggiorenni capaci di intendere e di volere, di esprimere in un documento, detto “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT), le proprie volontà informate sui trattamenti sanitari che ciascuno intende o non intende ricevere e di nominare un fiduciario, in vista di un momento futuro in cui non dovesse essere in grado di esprimere autonomamente la propria volontà. La sentenza della Corte costituzionale

Con la Sentenza n. 242/2019 la Corte costituzionale chiude l’esame dell’eccezione di incostituzionalità sollevata dalla Corte d’Assise di Milano nei confronti dell’art. 580 c.p., a seguito dell’autodenuncia presentata da Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, per aver accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani (noto come Dj Fabo) per ricorrere al suicidio medicalmente assistito, consentito dalla legislazione elvetica. A ottobre 2018 la Corte aveva rinviato la trattazione del caso, emettendo un’Ordinanza, la n. 207/2018, con cui sollecitava un intervento legislativo in materia; trascorso un anno senza aver sortito alcun effetto, ha quindi pronunciato la propria sentenza.

Se i giudici milanesi sostenevano l’incostituzionalità dell’art. 580 c.p. in quanto retaggio di una concezione organicista che subordina i diritti individuali al bene della collettività, la Corte invita invece a rileggerlo alla luce del principio personalistico, enunciato dall’art. 2 Cost., e dell’inviolabilità della libertà personale, affermata nell’art. 13 Cost. In quest’ottica, il divieto di essere aiutati a morire è inteso a proteggere le persone più deboli e vulnerabili da scelte irreparabili, in particolare, dalla conferma e dall’accelerazione che potrebbero derivare alla loro ideazione suicidaria

I contributi apparsi su Aggiornamenti Sociali in materia di fine vita


Gruppo di studio sulla bioetica, «Le

Disposizioni anticipate di trattamento (DAT): una proposta», 8-9 (2020) 561567.

«Dichiarazione congiunta delle religioni monoteiste abramitiche sulle problematiche del fine vita», 12 (2019) 848-853.

Costa G., «Fine vita: un contributo per una legge condivisa», 11 (2019) 709716.

Gruppo di studio sulla bioetica, «Dilemmi etici e progressi tecnologici in medicina», 11 (2018) 746-759. Casalone C., «Abitare responsabilmente il tempo delle DAT», 2 (2018) 112-123.

Gruppo di studio sulla bioetica, «Custodire le relazioni: la posta in gioco delle DAT», 8-9 (2017) 585-587. Turoldo F., «Responsabili della fragilità. La tutela umana nella ricerca scientifica», 2 (2012) 126-135. Gruppo di studio sulla bioetica, «Quando la capacità di decidere viene meno. Questioni etiche di fronte all’Alzheimer», 9-10 (2009) 571-586.

SARNePI – Gruppo di studio per la bioetica, «Scelte di fine vita in rianimazione pediatrica», 6 (2009) 453-463.

AMCI Milano, «Sull’alimentazione e idratazione artificiali», 6 (2009) 450452.

Sorge B., «Fine vita: la riflessione etica continua», 1 (2009) 5-10. Gruppo di studio sulla bioetica, «Il caso Welby: una rilettura a più voci», 5 (2007) 346-357.

Casalone C., «Decisioni di fine vita. Sul contributo del card. Martini», 3 (2007) 222-226.

Martini C.M., «Io, Welby e la morte», 3 (2007) 227-229. Casalone C., «Come decidere sulla fine della vita? Considerazioni etiche sul “testamento biologico”», 12 (2006) 811-822.

Casalone C., «La richiesta di morte tra cultura e medicina. Per un discernimento etico», 11 (2002) 731-742. Casalone C., «La medicina di fronte alla morte. Tra eutanasia e accanimento terapeutico», 7-8 (2002) 547-558.


dalla disponibilità di altre persone a collaborare alla sua realizzazione. I diritti umani, di cui si tratta nell’art. 2 Cost. – continua la Corte – non comprendono il diritto di moriree il diritto alla vita impone allo Stato il dovere di tutelare ciascun individuo, in particolar modo quelli più fragili e vulnerabili.

Secondo la Corte, tutto ciò non toglie che in casi specifici si possa derogare a questa norma generale. In particolare, la Corte ritiene che non sia punibile chi aiuta un altro a porre termine alla sua vita qualora ricorrano quattro condizioni precise: a) la presenza di una malattia irreversibile; b) che sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili; c) la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale; d) il permanere della capacità di prendere decisioni libere e consapevoli. Secondo l’argomentazione dell’Ordinanza n. 207/2018, in presenza di queste condizioni l’aiuto che un medico fornisce a un paziente per porre termine alla propria vita si può configurare come «l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base all’art. 32, secondo comma, Cost.».

A questa conclusione si potrebbe obiettare che la L. n. 219/2017 consente, ai pazienti che si trovano in condizioni simili, di lasciarsi morire attraverso la sospensione di tutti i trattamenti e la contemporanea attivazione di una sedazione palliativa profonda, ossia di una somministrazione di farmaci che privi il paziente della coscienza così da alleviare sintomi gravi non altrimenti trattabili, in attesa della morte. La Corte ha considerato questa obiezione, ma l’ha respinta, osservando che tale opzione può comportare un processo di morte più lento, che potrebbe non corrispondere alla concezione della dignità del morire propria del soggetto e risultare più doloroso per le persone che gli sono vicine, come, in effetti, era stato sostenuto da Fabiano Antoniani. Né si può far leva, in questo caso, sull’esigenza di proteggere le persone più fragili e vulnerabili: se si ritiene il soggetto in grado di prendere la decisione di sospendere trattamenti di sostegno vitale, non v’è ragione per non rispettare anche la sua competenza nel richiedere l’aiuto al suicidio. La Corte, perciò, ha concluso che l’art. 580 c.p. dev’essere modificato, perché, nella sua versione attuale, «limita la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie», garantita dagli artt. 2, 13 e 32 Cost.

Con questa sentenza la Corte costituzionale ha introdotto una novità nelle norme penali sul fine vita: pur lasciando intatto il divieto dell’eutanasia, come atto compiuto dal medico per porre fine alla vita del paziente, ha mitigato il divieto di assistenza al suicidio, come atto compiuto dal paziente per uccidersi, grazie all’aiuto prestatogli dal medico, di cui non può fare a meno per raggiungere il proprio scopo. Nei due anni successivi alla sentenza non si sono avute notizie di altri casi, fino alla fine di novembre 2021, quando, a seguito di una controversia prolungata con l’Azienda sanitaria unica regionale delle Marche, un paziente di 43 anni di Ancona, fittiziamente denominato Mario, tetraplegico da 11 anni, ha ottenuto il parere favorevole dal Comitato etico per procedere al suicidio assistito. Infatti, anche prima del pur auspicato intervento del legislatore, la sentenza già stabilisce in maniera non modificabile che il divieto incondizionato di aiuto al suicidio è incostituzionale e che, ove ricorrano le quattro condizioni menzionate, aiutare il paziente a uccidersi non è reato. La Corte aveva anche stabilito che dovesse essere il «comitato etico competente», quale organismo indipendente, a verificare la sussistenza delle condizioni; per questo è stato interpellato il Comitato etico dell’azienda regionale, che ha dato parere favorevole ma ha espresso dubbi sulle modalità e sulla dose del farmaco suggerito per realizzare la procedura; spetterà al tribunale stabilire chi sia competente a decidere. La proposta di legge sul suicidio assistito

Ponendosi sulla scia della sentenza della Corte costituzionale, di cui riprende precise espressioni, la proposta di legge (PdL) all’esame della Camera intende disciplinare «la facoltà della persona affetta da una patologia irreversibile e con prognosi infausta o da una condizione clinica irreversibile di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente e autonomamente alla propria vita» (art. 1). In più punti insiste sul carattere volontario, dignitoso e consapevole di tale decisione: la persona che chiede di morire dev’essere maggiorenne, in grado di prendere decisioni libere, adeguatamente informata; inoltre deve essere affetta da una patologia irreversibile e con prognosi infausta, oppure portatrice di una condizione clinica irreversibile, che cagionino sofferenze fisiche e psicologiche che la persona stessa trova assolutamente intollerabili, e dipendere da trattamenti sanitari di sostegno vitale. A quelli previsti dalla Sentenza n. 242/2019, si aggiunge il requisito che la persona «sia stata previamente coinvolta in un percorso di cure palliative al fine di alleviare il suo stato di sofferenza e le abbia esplicitamente rifiutate» (art. 3). La richiesta di morire dev’essere attuale, il che esclude che possa essere formulata attraverso le DAT, e redatta per iscritto con requisiti di forma assai stringenti (atto pubblico o scrittura privata autenticata, cioè con l’intervento del notaio o altro pubblico ufficiale), mentre può essere revocata in ogni momento e con ogni mezzo che consenta di render chiara la volontà del paziente, senza requisiti di forma.

Quanto alle modalità dell’intervento, si prevede che il medico rediga un rapporto dettagliato sulle condizioni del paziente e lo trasmetta al Comitato di valutazione clinica presso le Aziende sanitarie territoriali. Si tratta di un organismo di nuova costituzione, che ogni Regione dovrà attivare entro 180 giorni dall’approvazione della legge; l’art. 7 ne disciplina la composizione, richiedendo che siano autonomi e indipendenti e dotati di molteplici competenze, tra cui quelle in medicina palliativa e negli aspetti psicologici, giuridici, sociali e bioetici delle questioni di fine vita. Detto Comitato deve esprimere un parere entro 30 giorni e inviarlo al paziente e al medico; se è favorevole, il medico lo invia alla direzione sanitaria di riferimento. Il decesso deve avvenire presso il domicilio del paziente o una struttura ospedaliera. Il medico può anche non trasmettere la richiesta al Comitato, se ritiene che non sussistano le condizioni necessarie; in questo caso, deve darne motivazione e il paziente può appellarsi al giudice territorialmente competente.

L’art. 6 prevede che il personale sanitario possa sollevare obiezione di coscienza; medici e infermieri non sono perciò obbligati a partecipare alle attività dirette al suicidio, anche se non sono esentati dall’assistenza antecedente l’intervento. Agli enti ospedalieri pubblici spetta comunque l’obbligo di assicurare che le procedure possano realizzarsi. Un’ultima importante previsione riguarda l’esclusione retroattiva di punibilità per chiunque abbia agevolato la morte volontaria di persone che si trovavano nelle condizioni previste dalla nuova normativa. L’ipotesi di un referendum sull’eutanasia

Mentre procedeva l’iter parlamentare della PdL sul suicidio assistito, l’Associazione Luca Coscioni, con altre organizzazioni, ha condotto una raccolta di firme per un referendum parzialmente abrogativo dell’art. 579 c.p. Lo scopo è andare al di là della parziale depenalizzazione del suicidio assistito sancita dalla Corte costituzionale, legalizzando l’eutanasia, ossia l’azione del medico direttamente intesa a causare la morte del paziente dietro sua richiesta. Come è noto, il referendum può abrogare norme esistenti, ma non modificarle o introdurne di nuove. In questo caso, il quesito chiede di eliminare alcune parti dell’articolo in questione, che qui appaiono barrate: «Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61. Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: contro una persona minore degli anni diciotto; contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno». Quindi, se non ricorre nessuna delle tre condizioni indicate, il consenso dell’interessato è sufficiente a escludere la punibilità.

Come per ogni consultazione referendaria, la Corte costituzionale è chiamata, entro il mese di febbraio, a pronunciarsi sull’ammissibilità del quesito. Oltre al fatto di vertere su materie che la Costituzione esplicitamente esclude, un referendum può essere ritenuto inammissibile nel caso in cui l’eventuale abrogazione proposta produca una normativa lacunosa o incoerente. In questo caso, la lacuna potrebbe riguardare la mancata previsione di condizioni per l’accettabilità dell’intervento eutanasico o di requisiti di forma per la manifestazione del consenso, con conseguenti possibili abusi, mentre potrebbe essere valutata come incoerente la netta differenza tra l’art. 580 c.p. come modificato dalla Sentenza n. 242/2019 e l’art. 579 c.p. come modificato dal referendum. Spetta alla Consulta stabilire la sussistenza o meno di tali difetti.

Contribuire responsabilmente al dibattito

L’agenda politico-istituzionale di febbraio, con il giudizio di ammissibilità del referendum e la prevedibile ripresa dell’esame parlamentare della PdL, rimetterà le questioni di fine vita al centro della scena pubblica del nostro Paese. Se andrà come nei casi precedenti, è lecito attendersi un dibattito urlato, tra posizioni fortemente polarizzate, senza grande riguardo per la delicatezza della posta in gioco e la chiarezza dell’argomentazione, con conseguente confusione e sconcerto dell’opinione pubblica.

Per non smarrirsi, è innanzi tutto indispensabile evitare di fare di ogni erba un fascio: suicidio assistito ed eutanasia, i due punti attualmente all’ordine del giorno, non sono la stessa cosa, pur presentando elementi di contiguità. Altra questione ancora sono il rifiuto dell’accanimento terapeutico e più in generale la tutela della libertà di decidere a quali trattamenti sanitari sottoporsi (fatti salvi quelli obbligatori per legge), che sono oggetto della L. n. 219/2017. Pertanto su ciascuno di questi punti è possibile esprimere valutazioni differenziate.

In secondo luogo, occorre tenere presente che il dibattito si colloca a cavallo del delicatissimo crinale che unisce riflessione etica ed elaborazione normativa. Prendere posizione richiede quindi di esaminare non solo il merito della questione, ma anche il contesto politico, sociale e culturale al cui interno ci si muove. Da un punto di vista strettamente etico, su suicidio assistito ed eutanasia non ci sarebbe tutto sommato molto di nuovo da dire. Una riflessione fondata in una prospettiva personalista non fatica a evidenziare limiti e persino cortocircuiti di proposte imperniate su una assolutizzazione dell’autonomia individuale, che sradicano la libertà dal tessuto di relazioni da cui sgorga e trae alimento, trasformandola in arbitrio che rischia di ritorcersi contro se stessa. Sono queste le ragioni per cui il Magistero della Chiesa continua a ribadire l’illiceità di eutanasia volontaria e suicidio assistito in prospettiva cristiana [3]. Del resto, l’ascolto attento della richiesta di darsi o ricevere la morte permette con frequenza di riconoscerla come spia della paura dell’abbandono e quindi come una radicale domanda di cura, a cui è sempre possibile rispondere, anche quando è esclusa la prospettiva della guarigione.

un’iniezione letale grazie all’aiuto di un medico, che difficilmente può considerarsi una opzione terapeutica [4]. In questo modo estende il principio di autodeterminazione del paziente, che la L. n. 219/2017 garantisce in riferimento ai trattamenti sanitari, fino a comprendere un diritto di scegliere la morte, sia pure limitatamente ad alcune condizioni particolari; in sostanza, conferisce problematicamente al suicidio assistito la dignità di trattamento alternativo. Inoltre, la sentenza non riconosce la sostanziale differenza tra consentire che la morte avvenga (sospensione dei trattamenti di sostegno vitale) e causare la morte (aiuto al suicidio e omicidio del consenziente).

Tuttavia la sentenza è un fatto, così come l’appello, che essa stes-

«In seno alle società democratiche, argomenti delicati come questi vanno affrontati con pacatezza: in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise. Da una parte, infatti, occorre tenere conto della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza. D’altra parte, lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza per cui ciascuno è riconosciuto dal diritto come essere umano che vive insieme agli altri in società».

Papa Francesco, Messaggio ai partecipanti al Meeting regionale europeo della World Medical Association sulle questioni del “fine vita”, 16 novembre 2017

sa formula, a un intervento legi-

Questa consapevolezza etica è chiamata a calarsi entro un contesto specifico, segnato dalla Sentenza n. 242/2019. Quest’ultima è passibile di critica nella misura in cui sembra tracciare un’analogia tra la sospensione della ventilazione artificiale, che rappresenta senza dubbio una scelta relativa alle terapie, e l’autosomministrazione di slativo sulla materia sulla base dei principi che la informano. Disattenderlo significherebbe mettere ulteriormente a repentaglio la credibilità delle istituzioni. La PdL in discussione alla Camera si muove all’interno del perimetro tracciato dalla sentenza, aggiungendo alcuni elementi sicuramente rilevanti, riguardo alla puntuale definizione dei criteri clinici per poter richiedere l’aiuto al suicidio, al ruolo e al funzionamento dei Comitati di valutazione clinica incaricati di vagliare le richieste. Significativi sono anche il riconoscimento del valore dell’obiezione di coscienza e l’opzione di


collocare il suicidio assistito nell’ambito pubblico, attraverso il coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale e i requisiti di forma della richiesta, evitando derive di privatizzazione presenti in altri ordinamenti, che trasformano la morte volontaria in un’opportunità di profitto. L’impostazione della PdL offre sufficienti garanzie per evitare abusi o degenerazioni e per questo, all’interno del contesto culturale pluralistico in cui ci collochiamo, può rappresentare un punto di mediazione accettabile [5], nella logica delle “leggi imperfette” [6].

In particolare, la sua approvazione può ragionevolmente rappresentare un argine ad alternative più ampie e pericolose, tra cui va senza dubbio annoverata la liberalizzazione dell’eutanasia che scaturirebbe dall’eventuale referendum sull’articolo 579 c.p., se ritenuto ammissibile e poi approvato dagli elettori. I meccanismi di funzionamento dell’istituto referendario ci restituirebbero una normativa in materia di omicidio del consenziente (eutanasia inclusa) dalle maglie estremamente larghe, peraltro in aperto contrasto con gli stringenti requisiti che la Sentenza n. 242/2019 e la PdL, che su di essa si basa, pongono per l’accesso al suicidio assistito. A differenza degli altri ordinamenti in cui l’eutanasia è legale, non vi sarebbero condizioni per avanzare la richiesta di morire, quali una patologia terminale, sofferenze intollerabili, assenza di opzioni terapeutiche, ecc. Anche l’assenza di requisiti di forma per la manifestazione del consenso potrebbe prestare il fianco ad abusi. Certo, un successivo intervento legislativo potrebbe risolvere queste criticità, ma la sua urgenza non costituirebbe una garanzia di rapida attuazione, e in ogni caso non potrebbe rimediare ad abusi intervenuti nel frattempo.

Una partecipazione responsabile al dibattito e all’elaborazione normativa richiede di operare innanzi tutto per scongiurare gli scenari più gravi, anche attraverso l’approvazione di leggi non pienamente soddisfacenti, anzi contribuendo al loro miglioramento nel prosieguo dell’iter parlamentare.



[1] Il testo in discussione risulta dall’accorpamento di varie proposte (C. 2-1418-1586-16551875-1888-2982-3101-A), operato dalle Commissioni, ed è disponibile sul sito della Camera al link <http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.2_A.18PDL0167820.pdf>.

[2] Per una dettagliata presentazione critica della L. n. 219/2017, rinviamo a Casalone C., «Abitare responsabilmente il tempo delle DAT», in Aggiornamenti Sociali, 2 (2018) 112-123, e più in generale ai materiali disponibili all’interno del dossier DAT sul sito della Rivista, <www. aggiornamentisociali.it/dossier/dat>. Per ulteriori commenti, cfr il «Forum» dedicato alla legge in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, 1 (2018) 11-209.

[3] Ci limitiamo a segnalare le prese di posizione più recenti: Congregazione per la dottrina della fede, Lettera Samaritanus bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, 22 settembre 2020; Ufficio nazionale per la pastorale della salute della CEI, Alla sera della vita. Riflessioni sulla fase terminale della vita terrena, Romani, Savona 2020.

[4] Cfr Reichlin M., «L’ordinanza della Corte Costituzionale sul caso Cappato: osservazioni critiche», in notizie di Politeia, 133 (2019) 99-104.

[5] In questo senso cfr Casalone C., «La discussione parlamentare sul “suicidio assistito”», in La Civiltà Cattolica, n. 4118 (15 gennaio – 5 febbraio 2022) 154-156.

[6] A riguardo, cfr Eusebi L. (a cura di), Il problema delle leggi imperfette. Etica della partecipazione all’attività legislativa in democrazia, Morcelliana, Brescia 2017.

© FCSF - Aggiornamenti Sociali

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