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Traccia della relazione di don Peppino Maffi: "CAMMINAVANO INSIEME: LA SFIDA DELLA SINODALITA’ "

Daverio, 27 novembre 2017

CAMMINAVANO INSIEME: LA SFIDA DELLA SINODALITA’

1.Premessa

  • Per condividere l’importanza della sfida della sinodalità, per il cammino della Chiesa, ascoltiamo alcune affermazioni di Papa Francesco, tratte dal Discorso per il 50° anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015).

“Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e a servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “Sinodo”. Comminare insieme – Laici, Pastori, Vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica.”

“La sinodalità coglie una dimensione essenziale della Chiesa, intesa come popolo di Dio in cammino nella storia. Ma indica anche una sfida missionaria per il nostro tempo e quindi una forma di Chiesa per l’oggi.”

  • Che cos’è la sinodalità?

    E’ la capacità di riflettere insieme, con grande rispetto reciproco, per tentare di arrivare a un pensiero comune che doni qualità al percorso spirituale e pastorale della comunità cristiana.

2.Parola di Dio: Atti 14,4-35

4Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani, e riferirono quali grandi cose Dio aveva compiuto per mezzo loro. 5Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: «È necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge di Mosè». 6Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema.

7Sorta una grande discussione, Pietro si alzò e disse loro: «Fratelli, voi sapete che, già da molto tempo, Dio in mezzo a voi ha scelto che per bocca mia le nazioni ascoltino la parola del Vangelo e vengano alla fede. 8E Dio, che conosce i cuori, ha dato testimonianza in loro favore, concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; 9e non ha fatto alcuna discriminazione tra noi e loro, purificando i loro cuori con la fede. 10Ora dunque, perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare? 11Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, così come loro».

12Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Bàrnaba e Paolo che riferivano quali grandi segni e prodigi Dio aveva compiuto tra le nazioni per mezzo loro.

13Quando essi ebbero finito di parlare, Giacomo prese la parola e disse: «Fratelli, ascoltatemi. 14Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere dalle genti un popolo per il suo nome. 15Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:

16Dopo queste cose ritornerò

e riedificherò la tenda di Davide, che era caduta;

ne riedificherò le rovine e la rialzerò,

17perché cerchino il Signore anche gli altri uomini

e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome,

dice il Signore, che fa queste cose,

18note da sempre.

19Per questo io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, 20ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue. 21Fin dai tempi antichi, infatti, Mosè ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe».

22Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. 23E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! 24Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. 25Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, 26uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. 27Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. 28È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: 29astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».

30Quelli allora si congedarono e scesero ad Antiòchia; riunita l’assemblea, consegnarono la lettera. 31Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva. 32Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti, con un lungo discorso incoraggiarono i fratelli e li fortificarono. 33Dopo un certo tempo i fratelli li congedarono con il saluto di pace, perché tornassero da quelli che li avevano inviati. [34] 35Paolo e Bàrnaba invece rimasero ad Antiòchia, insegnando e annunciando, insieme a molti altri, la parola del Signore.

3. Camminare insieme: intuizione e scelte conseguenti

  • Che tra noi l’intenzione sia davvero quella di camminare insieme non può essere dato per scontato, né può essere soltanto un dovere affermato con determinazione. Occorre infatti aver guadagnato la persuasione che senza sorelle e fratelli non si va da nessuna parte. Non può neppure essere ovvio attendersi comunque “franchezza” nel parlare e “umiltà” nell’ascoltare, virtù che solo l’esercizio nell’amore fraterno può insegnare.

  • Per molti autori Atti 15 è il vertice della narrazione del libro degli Atti degli apostoli. Interessante la precisazione di altri, che suggeriscono non uno ma due momenti decisivi nei primi 15 capitoli, i quali offriranno poi alla narrazione che seguirà il suo orientamento decisivo. Si tratta di Atti 10, l’incontro tra Pietro e Cornelio, e di Atti 15. Per tutti gli autori, in ogni caso, Atti 15 è un momento di snodo decisivo, capace da una parte di sancire l’uscita verso le “genti” da parte della missione cristiana, e dall’altra la loro appartenenza nel popolo di Dio.

4. Il punto del dissenso e la gestione del conflitto

  • La sorpresa è questa: Gesù ha aperto la porta della fede anche ai pagani; dunque è Padre di tutti. Questo ha letteralmente scombinato schemi e mentalità consolidate addirittura nei secoli… Il “pagano”, connotato religiosamente per l’ebraismo e per il cristianesimo nascente, è l’ “altro” per definizione; è pertanto inadatto, o addirittura indegno, a ricevere il dono e l’impegno dell’annuncio del Vangelo. Per il popolo di Israele di allora il “gentile” non è e non può essere un figlio, se non chiedendo di poter essere accolto nel percorso della fede ebraica. Nel racconto degli Atti, c’è invece la conferma che la volontà del Signore è quella di aprire a tutti la possibilità dell’Alleanza.

  • Al capitolo 16 gli apostoli e i discepoli vogliono tornare verso est, avvertendo come pericolosa la frontiera che separa l’Oriente (verso Troade) dall’Occidente (verso la Macedonia). Una serie di contrarietà e infine un sogno fanno loro comprendere che invece devono andare a Occidente, ritenendo che “Dio ci avesse chiamati ad annunciare il Vangelo” (16,10).
    Il punto è insomma sempre questo, e non riguarda solo gli ebrei cristiani di provenienza farasaica bensì anche i “discepoli missionari” di ogni tempo, fino a noi: sempre si presentano confini; sembrano frontiere. Spesso si ritiene che all’annuncio si debbano porre dei limiti; per grazia -all’inizio questo può perfino sembrare una disgrazia- sempre accade che si debba riconoscere come, al contrario, il Vangelo spinga a superare continuamente anche quello che appariva a prima vista del tutto estraneo, se non ostile, alla buona Notizia.
    La gravità della lite, scatenatasi prima ad Antiochia e poi di nuovo a Gerusalemme, è reale. Una convocazione sinodale chiede il discernimento su qualcosa che non può essere marginale.

5.Il consigliare nella Chiesa

«Il consigliare nella Chiesa non è facoltativo» (Sinodo/47°, Cost. 147 § 1). Questa affermazione molto chiara è esplicitamente dedicata al consiglio pastorale parrocchiale; può forse sorprendere e magari sembrare contraddittoria. Per definizione, un consiglio è qualcosa in sé facoltativo: chi lo desidera, lo chiede; se uno non ritiene di aver bisogno di consigli, fa da sé. Sappiamo bene, inoltre, quanto siano spesso fastidiosi e imbarazzanti i consigli non richiesti: ci appaiono come una indebita ingerenza nella sfera della nostra libertà. Anche da parte di chi il consiglio lo dà, esso può apparire come moralmente dovuto; ma in ogni caso sa che chi lo riceve è assolutamente libero di non servirsene. Il Sinodo invece afferma che il consigliare è «necessario per il cammino da compiere e per le scelte pastorali da fare». Esso si fonda, sul «diritto-dovere di tutti i battezzati alla partecipazione corresponsabile» ed è posto in vista del «comune discernimento per il servizio del Vangelo». Come si vede, il tema del "consigliare nella Chiesa" evoca e implica altre scelte di grande rilevanza nel vissuto ecclesiale: "partecipazione", "corresponsabilità", "discernimento".

6.Programmare e decidere

Dopo aver sgombrato il campo da una interpretazione "debole", minimalista del "consigliare nella Chiesa", il secondo passo riguarda il fine, lo scopo del "consigliare". Se il consigliare fosse finalizzato semplicemente a una raccolta di pareri, tanto per "tastare il polso" della situazione, o per registrare un generico orientamento della comunità, si correrebbe nuovamente il rischio di portare avanti una dinamica ecclesiale riduttiva, impoverita. Il Sinodo del 1995 fornisce diverse indicazioni che "spingono" in là la consultività, non permettendo che la funzione dei membri del consiglio pastorale venga frenata nei limiti di un sondaggio di opinioni. Il consiglio pastorale viene definito «soggetto di programmazione dell'azione pastorale» (Cost. 142 § 6) e soprattutto «strumento della decisione comune pastorale» (Cost. 147 § 2) e ancora si dice che esso è «realmente soggetto unitario delle deliberazioni per la vita della comunità». Dunque, il "consigliare" è orientato al programmare, più esplicitamente, al decidere, al deliberare.

7. I requisiti richiesti

Alcuni atteggiamenti sono pertanto importanti: «una coscienza ecclesiale da parte dei suoi membri, uno stile di comunicazione fraterna e la comune convergenza sul progetto pastorale». Si chiede che i componenti dei vari consigli «siano qualificati non solo da competenza ed esperienza, ma anche da uno spiccato senso ecclesiale e da una seria tensione spirituale, alimentata dalla partecipazione all'Eucaristia, dall'assiduo ascolto della Parola e dalla preghiera». Scorrendo questi testi, sembra di poter individuare alcune categorie nelle quali possono essere raggruppati i requisiti richiesti per i consiglieri. Le prime due si collocano propriamente nell'area dell'esperienza di fede: il senso della Chiesa e la tensione spirituale alimentata dalla preghiera e dalla pratica religiosa. In queste due categorie possiamo far rientrare anche l'esigenza di formazione nell'ambito specifico della fede, quindi da una parte la «formazione assidua per coltivare la sensibilità al lavoro pastorale comune» e dall'altra «la familiarità con il Vangelo e con la dottrina e la disciplina ecclesiastica in genere» (Cost. 147 § 3).

In sintesi, non si può pensare di "consigliare" nella Chiesa a partire da un semplice buon senso o da un intuito pratico o da un generico interesse per la vita della parrocchia. Occorre una fede viva, coltivata e praticata assiduamente, che non trascura l'aggiornamento dei contenuti della fede, magari attraverso la frequenza a una buona catechesi per gli adulti, e una coscienza ecclesiale matura, che permetta di sedersi al tavolo del consiglio non con l'animo di chi sogna una comunità ideale o di chi è incline solamente alla critica e al giudizio, ma con la disponibilità ad amare la Chiesa che c'è, per dare il proprio contributo a renderla migliore.

8. Alcune scelte concrete:

  • Adoperarsi perché possa crescere la fraternità e la stima tra collaboratori della comunità pastorale

  • Nessuno si deve considerare proprietario del servizio che promuove; è necessario maturare la scelta di un servizio umile, promosso in comunione con altre persone

  • E’ necessario guardare alle scelte e ai passi compiuti nel passato; ci si confronta per cogliere il positivo che è stato vissuto nelle iniziative promosse, per mantenerle sapendo però guardare avanti. Con “l’abbiamo sempre fatto così” non si va molto avanti.

  • Fondamentale è la lettura approfondita dell’ “Evangelii Gaudium”, vero testo di approfondimento del messaggio di Papa Francesco nell’ambito pastorale

  • Una buona indicazione per il cammino del Consiglio Pastorale potrebbe essere questa: dopo la preghiera iniziale, come punto dall’Odg ci sia un argomento di ampio respiro pastorale; occorre che si faccia pervenire a tutti, un testo, un articolo con il giusto anticipo, perché si possa portare una propria riflessione profonda e non istintiva.

Ci affidiamo allo Spirito del Signore; possiamo scrivere pagine nuove, belle, capaci di testimonianza.

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